Il diritto alla riservatezza trova il suo fondamento, come noto, nel Regolamento UE 679/2016 (GDPR) e nella normativa nazionale in materia. In particolare, il GDPR prevede all’art. 85 che “gli Stati membri, al fine di conciliare la protezione dei dati personali con il diritto alla libertà d’espressione e di informazione, possono prevedere delle deroghe al trattamento dei dati personali per scopi giornalistici o di espressione accademica, artistica o letteraria”. Fondamentale è l’art. 9 del GDPR, il quale statuisce il divieto del trattamento dei dati personali relativi alla salute di un soggetto a meno che il trattamento non sia necessario “per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale” (art. 9,par. 2, lett. i).
Deroghe al diritto di riservatezza dell’interessato possono essere stabilite per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica oppure dagli Stati membri per scopi giornalistici, accademici, artistici o letterari.
Ci si chiede se è legittima la condotta del giornalista che pubblica le generalità di un contagiato da Covid 19?
L’esercizio dell’attività giornalistica gode di un regime particolare legato alla rilevanza costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e di stampa e quindi anche nel trattamento dei dati personali. Il giornalista è legittimato a raccogliere e divulgare i dati personali di un soggetto anche in difetto del preventivo consenso di quest’ultimo.
La pubblicazione dei dati personali è soggetta però ad alcuni limiti anche in ambito giornalistico:
L’attività giornalistica deve esplicarsi nel rispetto del c.d. principio di essenzialità ex art. 6, All.1, del T.U. dei doveri del giornalista, il quale sancisce che “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l´informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell´originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti”.
La pubblicazione dei dati, pertanto, oltre che connotata da un rilevante interesse pubblico, deve rivelarsi “essenziale” per l’originale del fatto o per la sua descrizione.
Sulla stessa linea di pensiero anche la Giurisprudenza della Cassazione, la quale, nella nota sentenza n. 6041/2008, ha statuito che vi è legittimo esercizio del diritto di cronaca soltanto quando vengano rispettate le seguenti condizioni:
- la verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) delle notizie; verità che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato;
- la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca ed anche la critica;
- la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione.
Sulla base di tale assunto, si dovrebbe concludere dunque che in presenza dell’interesse pubblico sarebbe legittima la pubblicazione delle generalità di un contagiato, anche senza il suo preventivo consenso.
Tale tesi però non può trovare accoglimento.
Quanto sopra esposto deve necessariamente coordinarsi con l’art. 10, All.1, del T.U. dei doveri del giornalista che mira al rispetto della tutela della dignità delle persone malate che recita: “il giornalista, nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza e al decoro personale, specie nei casi di malattie gravi o terminali, e si astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico”.
Ebbene, alla luce di tale disposizione, non può certamente asserirsi che la diffusione delle generalità di un contagiato da Covid-19 sia rispettosa del diritto alla riservatezza di quest’ultimo.
Questa è la linea seguita a livello istituzionale anche in raffronto a precedenti eventi pandemici: basti pensare, a titolo di esempio, alla dura presa di posizione del Garante per la privacy nel 2005, in riferimento alla diffusione dei dati personali, ad opera di diversi mezzi di informazione, di un soggetto sospettato di aver contratto il morbo Creutzfeldt-Jakob, meglio conosciuto come il c.d. “morbo della mucca pazza”.
Non ci sono dunque, ad oggi, deroghe al divieto di diffusione della generalità di un contagiato.
Tuttavia, lo stesso Garante per la protezione dei dati personali ha recentemente affermato che “l’emergenza legata all’epidemia comprime alcune libertà” e che dunque “in casi così il diritto alla privacy subisce delle limitazioni”. Tuttavia, non si potrà mai, in uno stato di diritto come il nostro, dare attuazione di sistemi di totale eliminazione della riservatezza sul modello della Corea del Sud o della Cina.
L’eventuale compressione dei diritti e delle libertà fondamentali tra cui la tutela della riservatezza, dunque, deve attuarsi in misura proporzionale, necessaria ed adeguata con il rispetto dei principi e valori propri di una società democratica.